L'APPROFONDIMENTO

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In Italia le mestruazioni sono ancora un lusso

Si chiama tampon tax, ma si legge discriminazione di genere. Per tampon tax si intende l’imposta sul valore aggiunto (Iva) applicata agli assorbenti, coppette e spugne mestruali.

L’imposta fu introdotta in Italia nel 1975 al 12%, ma con gli anni è arrivata addirittura al 22%, rendendo questi beni di prima necessità dei veri e propri beni di lusso.

Nel 2016 Giuseppe Civati e Beatrice Brignone di “Possibile” lanciarono per primi la proposta di abbassare l’aliquota sugli assorbenti al 4%. La proposta venne accolta dalla politica con molto imbarazzo e risatine.

Dopo qualche anno la deputata Laura Boldrini e altre 31 deputate bipartisan proposero l’abbassamento dell’Iva dal 22% al 10%, ma l’emendamento venne bocciato. In compenso fu approvata la riduzione al 5% solo sugli assorbenti compostabili e biodegradabili, i prodotti più costosi e poco utilizzati dalle donne.

Nel 2020 un altro emendamento presentato dalle deputate Laura Boldrini e Lia Quartapelle proponeva la riduzione dell’imposta dal 22% al 5%, ma la Commissione Bilancio lo bocciò nuovamente.

Con la legge di bilancio 2022 il governo Draghi abbassò l’Iva dal 22% al 10%.
Il governo Meloni nel 2023 decise di abbassare l’Iva dal 10% al 5% per i prodotti per la protezione dell’igiene intima femminile, i tamponi e gli assorbenti e alcuni prodotti per l’infanzia. La misura però è durata solo un anno, perché con la legge di bilancio 2024 l’Iva sugli assorbenti e i prodotti per l’infanzia è tornata al 10%. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha difeso la scelta, sostenendo che il taglio non ha funzionato perché i prezzi di questi prodotti non sono scesi per effetto dell’inflazione.

L’ Italia non è ancora un Paese per donne

I dati ci dicono che l’Italia non è ancora un Paese per donne. Da un dossier del Servizio Studi della Camera è emerso che l’Italia è fanalino di coda in Europa per quanto riguarda il tasso di occupazione femminile, accompagnato da un gap retributivo.

Le donne occupate in Italia sono circa 9,5 milioni rispetto ai 13 milioni di maschi occupati. Inoltre una donna su cinque esce dal mercato del lavoro a seguito della maternità, indice delle difficoltà che le donne incontrano nel conciliare lavoro e esigenze di vita.
La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà, il 52%, da esigenze di conciliare l’ambito lavorativo con la vita privata e per il 19% avanza considerazioni economiche.

In generale, il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5%, divario che aumenta in presenza di figli ed arriva al 34% in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni.

Nel 2022, il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è stato pari a 55,5% (+1,6 rispetto al 2021), mentre quello delle donne della stessa età senza figli è del 76,6% (+2,7 rispetto al 2021)

Secondo il rapporto Istat 2023 la distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non è migliorata, ma l’istruzione si conferma fattore protettivo per l’occupazione delle donne con figli piccoli.

Per quanto riguarda la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento (al di sotto della media europea che è del 13 per cento), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento).

Dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l’occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate (contro il 26,2 per cento degli uomini).

Il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum posiziona l’Italia al 79esimo posto rispetto ai 146 paesi analizzati, con una perdita di di 16 posizioni rispetto alle rilevazioni del 2022 e con un’ampia distanza rispetto ai paesi dell’Eurozona.

“Partecipazione economica e opportunità per le donne” è, nello specifico, l’area in cui l’Italia ottiene un punteggio più basso (104/146). Mentre la posizione migliore si conferma nella sezione “livello di istruzione”.

Cosa succede in Europa e nel resto del mondo

Secondo la direttiva Ue 112/2006 sulla tampon tax, modificata nel 2022, ogni Stato può decidere autonomamente. In alcuni paesi europei l’aliquota sui prodotti mestruali è ancora molto alta, per esempio in Ungheria è al 27%, Croazia, Danimarca e Svezia è al 25%, Finlandia al 24%, Lettonia al 21% e la Bulgaria al 20%. L’Italia è un caso emblematico, perchè è passata dal 5% al 10%.

Poi ci sono altri paesi che hanno ridotto la tassazione, come la Spagna, Grecia e l’Austria al 4%, la Francia al 5,5%, il Belgio al 6%, la Germania al 7% grazie all’iniziativa della startup The Female Company con il libro “The Tampon Book”.

L’Irlanda è una delle poche eccezioni: nel 2006 ha azzerato l’Iva su tutti i prodotti igienici del ciclo mestruale.

Il Regno Unito ha abolito la tampon tax grazie alle attiviste che per molto tempo hanno lottato per il riconoscimento dell’importanza di questi prodotti essenziali.

Nel 2000 la deputata laburista Dawn Primarolo riuscì ad ottenne la riduzione della tampon tax 17,5% al 5%.

Nel 2014 l’attivista Laura Caryton lanciò una petizione, raccogliendo quasi 320.000 firme.

Nel 2015 fu presentata alla Camera una mozione per eliminare la tassazione sugli assorbenti, ma venne respinta dai conservatori, perchè la legislazione europea non permetteva di arrivare al di sotto del 5%.

Nel 2016 la deputata laburista Paola Sheriff presentò nuovamente la proposta, venne approvata e divenne operativa dal 1 gennaio 2021 con la Brexit.

Un altro esempio positivo è la Scozia dove attualmente è in vigore il Period Product Free Provision Bill, il primo provvedimento al mondo che garantisce l’accesso gratuito e universale agli assorbenti e ad altri prodotti igienico sanitari per il ciclo mestruale. Il provvedimento ha l’obiettivo di combattere le difficoltà economiche delle donne, ulteriormente accentuatasi negli ultimi anni. L’approvazione di questa storica legge è arrivata dopo una campagna di 4 anni, guidata dalla parlamentare scozzese laburista, Monica Lennon.

Da giugno 2021, in Nuova Zelanda, gli assorbenti e i prodotti igienici sono garantiti gratuitamente in tutte le scuole, università, uffici pubblici del Paese.

Negli Stati Uniti la tassazione sui prodotti mestruali cambia da stato a stato. Il Minnesota, New Jersey, Massachusetts, Illinois, New York, Florida, Connecticut, Ohio, California, Washington, Vermont, Maine, Michigan, Louisiana, Nebraska, Colorado, Iowa, Virginia e Texas hanno abolito l’imposta sui prodotti mestruali perchè considerati beni di prima necessità.

Nel Nord Dakota l’imposta la tassazione è  ancora del 5%, Alabama del 4%, Georgia del 4%, Carolina del Sud del 6%.

Il Kenya ha abolito la tassazione sui prodotti mestruali, ma le donne non hanno i mezzi economici per acquistare gli assorbenti o la possibilità di usufruire dei servizi igienici. Una bambina su dieci salta la scuola per le mestruazioni. Le percentuali aumentano nelle aree delle baraccopoli di Nairobi e nelle aree rurali. In alcune scuole governative vengono distribuiti assorbenti gratuiti, ma senza continuità.

In alcune parti del mondo come il Pakistan, Malawi e Nepal gli assorbenti non esistono. Infatti, in questi paesi le mestruazioni sono un tabù.

Il Chaupadi è un’antica tradizione del Nepal, molto radicata nelle aree rurali e povere del paese. Le donne durante i giorni delle mestruazioni vengono esiliate in capanne periferiche, in condizioni igieniche e psicologiche precarie. Questa pratica, nonostante sia stata resa illegale nel 2005, viene praticata in molte comunità rurali.

Gli anziani e gli uomini più giovani fanno ricadere sulle donne le colpe dei raccolti andati male, degli animali che si ammalano e delle piogge torrenziali.

In India, nonostante sia stata eliminata la tassazione, permangono credenze tradizionali di origini religiose. Le donne con le mestruazioni non sono autorizzate a cucinare o attingere l’acqua dal pozzo del villaggio. Addirittura se un uomo tocca la donna deve fare il bagno per evitare di diventare impuro.

Le donne vengono esiliate in capanne. Dilip Barsagare, presidente dell’ente di beneficenza locale Sparsh ha raccontato alla BBC che più di 21 donne sono state uccise nelle “capanne mestruali” perchè sono state assalite dagli animali di notte, altre si sono ammalate per le cattive condizioni igienico-sanitarie e senza alcuna assistenza.

In Uganda alcune tribù non permettono alle donne con le mestruazioni di toccare le mucche o bere il latte, per evitare di contaminare l’intera mandria. Non è nemmeno permesso di occuparsi della semina per il rischio di avere un scarso raccolto.

L’attivismo mestruale

Da qualche anno, in Italia e nel resto del mondo si sta diffondendo il cosiddetto “menstrual activism” o attivismo mestruale. Con gli anni la maggiore consapevolezza della parità di genere e l’utilizzo del web, ha determinato la diffusione di reti, movimenti di attiviste e attivisti che rivendicano i diritti delle donne e avanzano delle proposte.

Nel 2014 nell’Oregon (Usa) due studenti Nadya Okamoto e Vincent Forand fondarono un’organizzazione no profit Period, che oggi conta centinaia di volontari in tutto il mondo. La mission principale è sradicare la povertà mestruale e lo stigma legato alle mestruazioni. Principalmente si basa sul rispetto dell’autonomia delle donne che devono essere libere di gestire il loro corpo come preferiscono. Period ogni anno distribuisce milioni di prodotti mestruali per le comunità bisognose, crea programmi di studio sulla salute mestruale e fornisce ai giovani gli strumenti per sostenere politiche di equità mestruale come l’abrogazione dell’imposta sui prodotti mestruali.

In Kenya la senatrice Gloria Orwoba da tempo si batte contro lo stigma delle mestruazioni. E’ diventata nota in tutto il mondo dopo la sua espulsione dal Senato, perché si era presentata con dei pantaloni sporchi di sangue a causa delle mestruazioni. In Kenya circa il 65% delle ragazze non può accedere agli assorbenti per l’alto costo. Orwoba grazie al suo attivismo è stata fautrice di una misura che permette la distribuzione gratuita degli assorbenti nelle scuole del Paese, anche se non ha un’attuazione capillare in tutto il paese.

In Italia l’organizzazione no profit We World ha sempre sostenuto la riduzione della tampon tax, considerandola una vera e propria violenza economica che colpisce le donne. Con il ritorno della tampon tax al 10%, We World ha iniziato una campagna di comunicazione su Instagram con l’hashtag #Fermalatampontax per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema poco considerato.

Coop e Onda Rosa si sono nuovamente mobilitate e hanno riattivato la petizione su Change.org (Si apre in una nuova finestra) che un anno fa si era conclusa toccando le 683.000 firme. Da due anni viene organizzato il Festival del Ciclo Mestruale con l’obiettivo di cambiarne la narrazione e riconoscerlo come tema fondamentale per la salute e la parità di genere. In particolare l’evento vuole contrastare le forme di emarginazione che colpiscono molte donne mestruate e creare uno spazio di ascolto e di riflessione.

Il movimento “Una non di meno”, una rete nata da una serie di confronti tra diverse realtà femminili e femministe, da tempo ormai si attiva per raggiungere piccole conquiste sul piano della salute della donna, contro la violenza di genere, il diritto all’aborto, l’eliminazione della tampon tax e cosi via.

L’attivismo si svolge anche nelle scuole e nelle università. L’università Statale di Milano, dopo due anni dalla proposta avanzata dalla lista studentesca UniSi, è stato il primo ateneo in Italia a ospitare dei distributori automatici di assorbenti a prezzi calmierati.

Presso il dipartimento di matematica dell’università di Padova, è stato installato un distributore automatico di assorbenti igienici, disponibili gratuitamente per tutte le persone che lavorano e studiano.

Gli studenti del Liceo Carlo Porta di Erba (Como) hanno posizionato nell’istituto dei cestini dove chiunque può prelevare un assorbente, senza indugi e vergogna.

La stessa iniziativa è avvenuta presso l’Istituto magistrale Elena Principessa di Napoli, i licei Cassinari e Colombiani di Piacenza, e il liceo artistico Boccioni di Milano.

All’Istituto Marco Polo di Firenze ha preso avvio l’iniziativa sostenuta da Unicoop e fortemente voluta dagli studenti a colpi di slogan “Prevenire è meglio che cuLLare”. Nella scuola sono stati installati due distributori di preservativi e assorbenti. Questi dispenser offrono agli studenti la possibilità di accedere liberamente a questi prodotti senza pregiudizi e tabù.

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